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Il futuro delle Cross-Strait relation all’indomani del Congresso del Partito comunista cinese


Articolo tratto dal sito http://www.geopolitica.info/ a cura di Stefano Pelaggi

Nelle tre ore e mezza del suo discorso inaugurale al diciannovesimo Congresso del Partito comunista cinese (PCC) Xi Jinping ha affrontato molti temi, dalla necessità di ridurre la grande disparità sociale che si sta formando nel paese alla programmazione di ambiziosi modelli di modernizzazione da realizzare nei prossimi venti anni sino all’enunciazione della “nuova era del socialismo con caratteristiche cinesi”. Il pensiero di Xi è stato inserito nella Costituzione del PCC, un onore che era stato tributato finora solo a Mao Zedong e a Deng Xiaoping. Ma il contributo di Deng fu inserito solo dopo la sua morte, quindi il recente congresso di Pechino ha di fatto elevato il rango di Xi a quello di Mao.

Durante il suo discorso il presidente cinese si è riferito in più occasioni al futuro delle relazioni con Taiwan, il silenzio assordante tra Taipei e Pechino e le numerose ritorsioni cinesi nei confronti della democrazia taiwanese, in particolare le estromissioni dai principali eventi delle organizzazioni internazionali, avevano lasciato presagire un ulteriore raffreddamento dei rapporti tra i due paesi. Tutti gli analisti erano concordi sulla necessità di attendere il congresso per avere una chiara idea dell’atteggiamento cinese nei confronti di Taiwan, la volontà di Xi Jinping era quella di arrivare al cruciale appuntamento politico senza nessun tipo di polemica nei confronti del delicato futuro delle relazioni sino-taiwanesi.

Xi Jinping si è riferito alla questione taiwanese dopo aver parlato di Hong Kong e di Macao, lo ha fatto sottolineando l’accettazione del consenso del 1992 come prerequisito fondamentale per le relazioni tra i due paesi. Xi Jinping non ha mai nominato esplicitamente la Presidente Tsai Ing-wen ma il riferimento alla leader taiwanese è sembrato abbastanza chiaro. Xi ha ribadito la volontà di garantire l’integrità nazionale cinese e di essere pronto a rispondere con la forza ad un eventuale tentativo di indipendenza taiwanese. L’opposizione di Pechino all’indipendenza di Taiwan è uno strumento di propaganda che la Cina ha frequentemente usato negli scorsi decenni. La sovranità taiwanese è dimostrata dalla rete di relazioni internazionali che il Paese mantiene, dai numerosi uffici di rappresentanza presenti nella capitale che funzionano da ambasciate e consolati, dalla validità del passaporto della Repubblica di Cina in tutti i paesi del mondo, dai meccanismi democratici della partecipazione popolare e dalla presenza di tutti i requisiti del diritto internazionale come il controllo del territorio, la piena giurisdizione, la presenza di forze armate e da tanti altri aspetti che abbiamo analizzato più volte negli articoli di questa rubrica. I riferimenti di Xi vanno letti nell’ottica della propaganda del Partito comunista cinese e nella inevitabile cornice del congresso, numerosi analisti hanno interpretato il discorso del leader cinese come una possibile apertura nei confronti di Taiwan.

Xi Jinping ha esplicitamente menzionato la possibilità di un dialogo con Tsai Ing-wen, a patto dell’accettazione del “Consenso del 1992”. Una dinamica che non era affatto scontata e potrebbe portare ad un nuovo approccio cinese nei confronti di Taipei. Xi ha anche elencato i vari benefici che la popolazione taiwanese potrebbe conseguire da una unificazione con la Repubblica Popolare cinese. Anche qui si tratta di un inevitabile azione di propaganda in occasione del Congresso, gli analisti cinesi hanno compreso in maniera chiara la forte volontà del popolo taiwanese. I gruppi politici che supportano a Taiwan una eventuale riunificazione con la Cina sono assolutamente minoritari, probabilmente sovvenzionati direttamente da Pechino e non nutrono nessun tipo di seguito nel paese. Anche tra gli esponenti del Kuomintang i sostenitori di un possibile processo di riunificazione sono praticamente scomparsi e tutti i sondaggi interni dimostrano chiaramente come la volontà di tutti i taiwanesi di mantenere la propria sovranità sia una caratteristica condivisa tra cittadini di variegati orientamenti politici e distinta appartenenza anagrafica.

Fino a qualche anno fa il miraggio di un miglioramento delle condizioni economiche ha costituito la principale spinta per i gruppi che hanno promosso delle istanze pro unificazione a Taiwan, ma la deriva di Hong Kong ha seriamente compromesso questa interpretazione. Una deriva che non è esclusivamente limitata alle libertà civili, una dinamica facilmente prevedibile, ma si estende anche allo sviluppo economico dell’ex colonia britannica. L’economia di Hong Kong sta infatti vivendo un momento complesso, il grande afflusso di capitali cinesi ha determinato un aumento del costo della vita sostanziale mentre le opportunità di crescita sono ostacolate dalla concorrenza cinese. Le precedenti generazioni avevano scelto di accettare le forti limitazioni di partecipazione alla vita politica per mantenere la competitività economica e il diffuso benessere sociale. Negli ultimi anni sempre più giovani lasciano l’ex possedimento britannico, gravati sia da una speculazione immobiliare alimentata da capitali cinesi sia dall’inedito fenomeno della corruzione dei funzionari. Le vicende di Hong Kong sono seguite molto attentamente a Taiwan e costituiscono un monito nei confronti di qualsiasi politica pro Cina. Pechino è ben cosciente dell’impossibilità di conquistare i cuori e le menti dei taiwanesi, d’altra parte la retorica del PCC non consente un arretramento di fronte alle rivendicazioni cinesi nei confronti di Taiwan. Il gelo sino-taiwanese durante il primo anno di governo della Presidente Tsai Ing-wen è stato, secondo molti analisti, causato proprio dalla preparazione al congresso del Partito comunista e alla necessità di Xi di non mostrare alcun segno di cedimento nei confronti di Taiwan. Nelle prossime settimane sarà possibile comprendere il futuro delle Cross-Strait relation e il possibile punto di partenza potrà essere proprio una interpretazione condivisa del gioco di parole che si cela dietro al “Consenso del 1992”.

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Stefano.pelaggi@uniroma1.it – @StefanoPelaggi

Docente di “Nazionalismi e minoranze nazionali in Europa” e in “Development and processes of colonization and decolonization” a Sapienza Università di Roma, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in “Storia dell’Europa” presso Sapienza Università di Roma. Vice direttore del quotidiano L’Italiano, si occupa di di Storia e relazioni internazionali, principalmente nell’area dell’Asia-Pacifico Autore di numerosi saggi ed articoli su tematiche storiche e di relazioni internazionali. Collabora con il Centro di Ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Subsahariana” e svolge attività di ricerca e docenza presso varie università tra cui Libera università di lingue e comunicazione IULM di Milano e Università degli Studi Niccolò Cusano di Roma.


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